La slow communication non l’ho inventata io. Forse, ma non ho controllato, le ho dato per prima questo nome, ma si ispira a principi di marketing e psicologia applicata che sono noti da ben prima che cominciassi a muovermi sul web.
Lavoro nell’ambito della comunicazione web dal 2012 (prima seguivo la gestione di eventi, ma non faceva per me proprio perché troppo “fast”); nel 2014 ho aperto la partita Iva e ho collaborato con varie realtà, eppure l’idea della slow communication è nata di recente, cioè negli ultimi due anni, più o meno.
Slow communication in tempi non sospetti
I sintomi, però, c’erano tutti. La mia maestra che mi dava della pignola in prima elementare, i miei 86 quadernetti densi di annotazioni, le infinite liste. E soprattutto la mia profonda passione per agende e schede organizzative, la cui decorazione è diventata il mio hobby principale (ovviamente gli inserti li creo da sola a seconda delle esigenze del momento). Cosa c’entrano le agende con la slow communication? Parafrasando Thomas Alva Edison, io penso che la comunicazione sia per l’1% ispirazione e per il 99% pianificazione. O meglio, la tua ispirazione deve integrarsi con la pianificazione, altrimenti rischia di finire nel purgatorio delle ottime idee mai realizzate.
Un’altra cosa che avrebbe dovuto direzionarmi, era il mio obiettivo numero due. Per forza di cose, quando ho aperto la partita Iva il mio primo obiettivo è stato quello di mantenermi senza dover raggranellare mancette con lavori che non c’entravano niente con la comunicazione. Il secondo invece è stato quello di poter rifiutare i clienti. A parte il fantomatico cliente degli orsetti color glicine, ad un certo punto mi sono accorta che quelli a cui volevo dire di no avevano una caratteristica in comune: volevano fare tutto in fretta.
Sia chiaro, non c’è di per sé nulla di male nel comunicare in fretta. Si può fare: invece che prenderti tre clienti alla volta per sei mesi, te ne prendi solo uno per due mesi e questo non dovrebbe inficiare la qualità del servizio (diverso è il caso dei colleghi che per guadagnare di più fanno 3/4 strategie in un mese… Dubito che possano rivelarsi efficaci). Personalmente, però, lavorare così mi svuotava. Non solo ero stressata, ma sentivo che mi mancava qualcosa a livello umano: le chiamate coi clienti erano rapide, scherzavo e ridevo meno e tutti i riscontri positivi che mi arrivavano riguardavano il mio lavoro e non la mia persona.
Perché slow è meglio
Quando invece avevo la possibilità di lavorare senza fretta, pianificando tutto, chiamando frequentemente il cliente, si sviluppava un rapporto totalmente diverso. Ho conosciuto persone a cui mando con piacere i miei biglietti di Natale handmade, e quando sono in zona ci becchiamo spesso per un caffè. Con serenità, ho spiegato ai vecchi clienti i motivi del mio “no” a nuove collaborazioni, e mi hanno detto che la qualità del mio lavoro non era cambiata. Oggettivamente potrebbe essere così, ma per come lo percepisco io è tutta un’altra storia: i lavori che ho fatto negli ultimi due anni mi hanno dato più soddisfazione, perché l’approccio umano diventava parte integrante.
Anche per la mia comunicazione ho deciso di agire così. Non sono più ossessionata dai numeri, da quante persone visitano il mio blog o dai like su Instagram. Per carità, non nego che mi facciano un immenso piacere, ma non è più la priorità. Le persone, e quindi anche i clienti, non sono numeri, e possono arricchirci in tanti modi diversi. Basta avere il tempo per ascoltarli, senza fretta ma senza sosta.
Come avrai notato, un’intera sezione del mio sito è dedicata alla slow communication. La scrivo sapendo perfettamente che non avrà gli stessi numeri dell’articolo in cui spiego agli influencer come collaborare con le aziende. Ma se è vero che questo sito deve parlare di me (e ho deciso che lo deve fare!) per forza di cose affronterà anche argomenti strettamente legati alla mia ideologia della comunicazione. Se non vuoi perderti i prossimi articoli, di questa o di altre sezioni, puoi iscriverti alla newsletter che ti avviserà ogni volta che esce un nuovo post.
Capisco bene quello che scrivi e che risuona molto con quello su cui sto riflettendo quest’anno, ancora di più da settembre a questa parte, sia per il mio lavoro “off line” che per il mio blog collegato.
Credo che chi non ama il “passo veloce” possa trovare il modo di trasportare tutto quello che dici nella sua situazione lavorativa. Ci vogliono consapevolezza, riflessione e un po’ di tempo per trovare il giusto taglio e la giusta organizzazione, ma sicuramente è possibile!
Ora che ti ho scoperta leggerò con piacere tutti i tuoi articoli dedicati alla, slow communication.
Grazie mille Francesca! Sottoscrivo soprattutto sulla giusta organizzazione, dovresti vedere la mia agenda :D
Mi piace il concetto ‘slow’ non solo applicato alla comunicazione ma anche a molti aspetti della vita. Viviamo in un mondo sempre più frenetico e saper uscire da questo frullatore in cui tutti corrono come pazzi per riscoprire il piacere di andare adagio e rispettare il proprio tempo è essenziale. Ottime riflessioni ;-)
Proprio così Silvia. Aggiungo che per me “slow” non è semplicemente un piacere, è un metodo più efficace per fare le cose :)
Sicuramente fare le cose pianificandole per bene e con calma aiuta.
Anche perchè rischi di farle 2 volte altrimenti .. Io sono una malata delle liste <3
Anche io! Se hai provato il metodo bullet Journal raccontami come ti sei trovata, perché mi incuriosisce molto!
Un argomento interessante, voglio rifletterci su….la lentezza applicata anche a noi adulti e al mondo degli adulti. Sembra così difficile, eppure tutto quello che hai detto è corretto.
Grazie, molto interessante
Difficile nel mio caso è stato solo l’inizio. La psicologia ci dice che in 21 giorni riusciamo a interiorizzare un’abitudine, e osso confermarlo!
Articolo molto interessante! Mi piace questa visione, anche se è vero che non sempre è possibile metterla in pratica. Leggendo mi è venuto in mente il caso di Instagram, di cui proprio oggi leggevo discussioni tecniche sulla velocità di crescita dei profili, sulle strategie… ecco, io Instagram ho deciso di non averlo proprio per il motivo di cui parli tu. Troppo veloce, troppo effimero, si è arrivati all’automatizzazione. Sì, è un social con grandi numeri, però preferisco essere meno conosciuta ma dedicare più tempo alla qualità di tutti gli altri aspetti del blog che gestisco. Qualcuno non lo capisce, ma mi trovo molto bene :)
Sfondi una porta spalancata. Io Instagram lo uso molto, e la metà dei clienti mi arrivano da lì. Investo molte energie, e a volte è desolante constatare che chi usa le automazioni ha molti più like di me. Però è anche vero che io (e penso anche tu) non miro a diventare influencer, ma a conoscere persone e, al limite, promuovere la mia attività. Da questo punto di vista un cliente solo è molto meglio di 500 like a foto. Come dico sempre, tutto dipende dagli obiettivi. Aggiungo che i comunicati di Instagram di questi ultimi giorni ci fanno pensare che i bot avranno vita breve!
Sono un impulsiva e faccio, agisco e dico di getto. Da un paio d’anni sono cambiata, forse superati gli anta si prendono altri atteggiamenti, e mi trovo molto bene comunicando in maniera slow, anche se però l’impulsività è ancora forte, ma ci sto lavorando!
Grazie per il tuo commento, Paola! Anche io ero così. Fino a quando non ho aperto la partita iva! Da allora ho imparato una regola basilare: se sei arrabbiata, spegni tutto. Davvero incredibile quanti problemi mi abbia risolto questo banalissimo “trucco”