Guadagnare dalla divulgazione dovrebbe essere naturale, e invece diventa troppo spesso una cosa molto complicata. Ma facciamo un passo indietro: come ogni business, per definirsi tale, anche la divulgazione deve prevedere un guadagno, altrimenti diventa un hobby, e anche piuttosto costoso, visto che, se fatta bene, prevede viaggi e partecipazioni a congressi ed eventi vari.

Monetizzare la divulgazione scientifica online: una riflessione necessaria

Bene, io per lavoro vengo a conoscere i guadagni di molte persone, perché per definire una strategia di comunicazione devi conoscere gli obiettivi anche economici della persona, e per perfezionarla devi vedere se sono stati centrati. Tra i divulgatori, ma anche in generale, quelli che guadagnano di più hanno una cosa in comune: prima di decidere come procedere si sono chiesti: “Come faccio a fare soldi?”.

Qualcuno a questo punto potrebbe avere storto il naso. È una tendenza con cui molti di noi devono combattere: per la nostra cultura, chi ragiona così è una persona gretta, soprattutto se il suo lavoro è la divulgazione, che più che un lavoro è una nobile missione (pensa che in ambito universitario si chiama proprio “terza missione”!) che tu fai per gli altri, non per lucrarci sopra. Se una cosa del genere la racconti a un americano, quello si chiede come hai fatto a toglierti la camicia di forza e a segare le sbarre della tua residenza per comparire davanti a lui. Da quelle parti hanno altri problemi, ma su questo hanno ragione. Come fai a fare una buona divulgazione se non puoi comprarti le medicine quando stai male? Come fai a fare una buona divulgazione se devi parlare a un evento e siccome non sei spesato devi prenotare il buco più economico per dormire, magari distante un’ora di mezzi pubblici dal luogo dell’evento? Potrei andare avanti ore, ma hai capito il senso.

Microscopio e provette, immagine di riferimento per la divulgazione online

Non ci si può improvvisare divulgatori (come non ci si può improvvisare consulenti, grafici, accarezzatori di gatti): bisogna avere un piano per arrivare a fine mese. Se all’inizio l’attività di divulgazione non te lo permette (ed è normale) devi affiancarla a un altro lavoro (a meno che tu non abbia un patrimonio familiare, nel qual caso mi rendo disponibile a essere adottata). È facile che questo doppio binario ti faccia rischiare il burn out, quindi devi darti un limite di tempo: se la divulgazione non funziona entro tot (e “tot” dipende anche dal tempo che ci dedichi) le persone dovranno fare a meno dei tuoi contributi (e in questo senso non capisco perché di fronte alle entrate di un divulgatore non ci sia lo stesso sdegno che, giustamente, c’è per la “borsa” di un dottorando, ma ne riparleremo).

Il ruolo dell’economia nella divulgazione scientifica

Come ho scritto in un articolo in cui con Beatrice Mautino ragionavamo sui cambiamenti di Instagram, “è bello ottenere informazioni gratis, ed è nobile volerle fornire, ma a un certo punto se non c’è un’entrata fissa di altro tipo (per esempio se il divulgatore è un docente) è quasi inevitabile smettere di condividerle e dedicarsi ad altro, perché è un investimento di tempo e spesso anche di denaro, tra post sponsorizzati, attrezzature, programmi come le piattaforme di programmazione e di editing per i video e per le foto e via dicendo”. Che un divulgatore sia pagato equamente è un bene sia per lui che per gli utenti, che potranno continuare ad avere accesso ai contenuti gratuiti.

Purtroppo farlo notare è come parlare al muro. E così non mi stupisco che la maggior parte del mio lavoro sia creare la strategia di comunicazione ai dipartimenti, o a professori ordinari e associati che possono permettersi un consulente che gli spieghi come utilizzare il web per comunicare le loro ricerche in un modo che attragga anche i non addetti ai lavori. Però in realtà c’è molto spazio anche per altri profili, soprattutto cambiando le modalità: i professori ordinari, in effetti, non puntano su Instagram, ma soprattutto su siti web e newsletter se parliamo di online e giornali ed eventi se apriamo il discorso al mondo offline (di cui invece non mi occupo).

Sfide e opportunità per i divulgatori online

Eppure ci sono moltissime persone che si informano prevalentemente sui social, come dimostra questa infografica che Pier Luca Santoro pubblica su Digital Media Hub elaborando i dati CENSIS.

Se non bastasse, lascio anche un bell’articolo di Eugenio Radin, che divulgando filosofia ha praticamente costruito un impero, dove si spiega l’importanza dell’utilizzo di queste piattaforme senza che mi diciate che guadagnandoci sopra io sono di parte!

Ricapitoliamo un attimo: le informazioni corrette dei professori ordinari ci sono, ma non le trovi su Instagram (salvo rare eccezioni che io apprezzo molto, come il mio preferito che è Giorgio Vallortigara) e questo significa che ci sarebbe spazio per altre persone, anche perché, come abbiamo visto sopra, la richiesta non manca.
Chi potrebbe andare incontro a questa richiesta? Quando va bene, un ricercatore. Con il “quando va bene” mi riferisco alla questione economica: un ricercatore non guadagna pochissimo (anche se a fronte del lavoro che fa meriterebbe molto di più), e potrebbe permettersi un consulente per la divulgazione online, senza dover stare a studiare per fare tutto da solo (ne approfitto per consigliarti un altro dei miei prefe, anche se non fa divulgazione: Samuele @samuscientist racconta la vita da ricercatore e mi fa spesso spatosciare dal ridere. Lui fa tutto da solo, con risultati brillanti).

Il problema è che un ricercatore potrebbe non avere tempo per un progetto di comunicazione su Instagram. Avrebbe quindi bisogno anche di un social media manager, ma a quel punto la cifra salirebbe di molto.
Poi ci sono i dottorandi. Spesso purtroppo non hanno più tempo dei ricercatori, ma se non altro per ragioni anagrafiche sono più bravi con Instagram. Purtroppo o per fortuna non sempre conoscere un mezzo equivale a saperci fare divulgazione (per fortuna perché altrimenti sarei disoccupata!), quindi anche a un dottorando potrebbe fare comodo una consulenza. Peccato che la loro loro “borsa” (per fortuna nessuno ha l’ardire di chiamarlo “stipendio”) è ridicola, un vero insulto in quello che dovrebbe essere un paese civile. In pratica chi vuole fare carriera accademica deve avere soldi di famiglia o dormire 4 ore a notte per fare due lavori. Sicuramente la strategia di divulgazione è l’ultima cosa a cui pensa.

Rimane chi fa (o tenta di fare) divulgazione per mestiere, a volte con la sua voce (Beatrice Mautino, Roberta Villa ecc), a volte sparendo dietro enti e persone-che-hanno-voglia-ma-non-tempo (io e altri colleghi), oppure mettendo la propria faccia (e firma) dietro progetti corali come Kodami. Sulla carta, questa sarebbe la strada migliore, perché si tratta di fare un unico lavoro, comunicare potabile, e di solito questi sono profili formati specificamente per fare divulgazione (mentre professori e scienziati devono studiare un argomento ulteriore, salvo un talento personale che sinceramente non riscontro spesso, soprattutto se si parla di web). Questo in un mondo ideale, perché troppo spesso questa formazione non viene riconosciuta, e il ragionamento più diffuso è “Perché dovrei chiamare te, se ho già il ricercatore che mi parla dell’argomento X?”. Solo pochi sanno che le due competenze (studiare e spiegare potabile) sono complementari, e che non sempre possono risiedere nella stessa persona.

Una divulgazione scientifica per pochi?

Ecco, l’americano di prima, citando Darwin a sproposito, direbbe: “È la selezione naturale, bellezza: chi non trova un modo per monetizzare si estingue”. Io non sono molto d’accordo, nel senso che a volte non c’è proprio verso, perché se tu pretendi lecitamente di essere pagato la gente là fuori chiede a qualcun altro di farlo gratis (“È l’Italia, bellezza!”). Però devo anche dire che ci sono persone che ci provano e ci riescono, anche se sono poche. Quindi provare a monetizzare la divulgazione è un tentativo che va assolutamente fatto, tanto più che ci sono persone che a queste cose non ci pensano proprio, e quindi poi smettono perché l’affitto non si paga da solo.

Questo è un vero peccato: non è giusto che la divulgazione sia appannaggio esclusivo di chi se la può permettere come hobby, perché anche gli altri potrebbero dare delle informazioni corrette che grazie ai social raggiungerebbero più persone interessate.

Nel mio prossimo articolo darò delle dritte a tutti i divulgatori o aspiranti divulgatori che si sono posti il problema e che vorrebbero capire come monetizzare la loro attività. Non è una ricetta magica, sia chiaro, ma uno spunto da cui partire per non cominciare e smettere poco dopo. Se non te lo vuoi perdere, iscriviti alla newsletter, che a fine mese faccio un recap con le cose che sono uscite!