Per caso mi sono imbattuta in questo articolo, che oppone il concetto di strategia social con il consenso facile e i like che fioccano senza particolare impegno: un bel modo per cominciare la giornata, eh?
Un po’ è giocato sullo scherzo, naturalmente, ma mette in luce quello che sembrerebbe essere un problema: io e i miei colleghi studiamo molto per saper elaborare delle strategie di marketing che producano quella che in gergo tecnico viene definita “conversione” e che con la religione non c’entra nulla. La conversione è quando non solo il fruitore del social apprezza i contenuti, ma viene portato a compiere l’azione che interessa all’azienda, che sia comprare un articolo o registrarsi al sito.
È facilmente intuibile che la viralità di un contenuto facilita la conversione ma, purtroppo o per fortuna, non è l’unica variabile in gioco.
Spieghiamo meglio con un esempio triviale
Facciamo un esempio: devo promuovere una cura per i problemi di erezione maschile. Se io faccio una battuta di basso livello scritta lì per lì in tre minuti, probabilmente otterrò tanti like, e magari qualche condivisione. In sintesi, rideranno le donne (che, se avessi lavorato bene, non dovrebbero nemmeno vedere l’annuncio, visto che i consumatori finali sono principalmente uomini) e gli uomini che non soffrono di problemi di erezione.
Queste persone metteranno il like, e lo metterà forse anche chi soffre di problemi di erezione, che fingerà di apprezzare la battuta perché tutti credano che non soffra di problemi di erezione. Difficilmente, però, qualcuno comprerà il prodotto, perché sto scherzando su un problema serio, e chi ne soffre potrebbe essere anche infastidito dal mio modo di affrontarlo. L’apparente consenso, in questo caso e in molti altri, non porta alla conversione, che è quello che interessa (o dovrebbe interessare) al brand.
E con la strategia social come faccio?
Mi rendo conto che non siamo nel paese delle meraviglie, anzi: nell’ambito social, l’Italia è davvero molto arretrata, e la lungimiranza è rara quanto la volontà di pagare adeguatamente un professionista.
All’inizio anche a me veniva voglia di sbattere la testa contro il muro quando vedevo il buongiornissimo della ditta di bulloni che totalizzava più condivisioni del mio serissimo post dove analizzavo i vantaggi dell’essenza di rosmarino rispetto alla lavanda (2 ore di documentazione per 10 righe di post). Poi mi sono detta: “Se non puoi combatterli fatteli amici”.
Appena mi rendo conto che sono di fronte a un potenziale cliente che quando gli parlo di conversione parte a immaginarsi pellegrinaggi a Medjugorje e appena legge il preventivo sfoggia la magica e diffusissima frase “Ma per tre righe su fb??”, io sventaglio un sorriso a 67 denti (chiamatemi Stregatto) e gli dico che c’è un’opzione molto più economica, cioè quella di “tenere vivo il social”. Che lo so, suona male, ti aspetti di trovare il defibrillatore vicino alla penna per firmare il contratto, eppure questi clienti sono soddisfatti: spendono poco e sono pieni di like. Sono quasi certa che nessuno dei loro clienti arrivi dalla pagina Facebook, ma se loro mirano semplicemente ad avere like e condivisioni, chi sono io per rompere loro le uova nel paniere? Basta che nel contratto sia precisato che cosa viene offerto.
E l’etica?
Molti colleghi storceranno il naso, e un po’ li capisco. A volte si pensa che si debba “educare il cliente”, e in linea teorica sono d’accordo. Purtroppo, però, troppo spesso non c’è verso, e non sono molti quelli che comprenderanno l’utilità di una buona strategia social, se non l’hanno compresa dopo anni su Facebook. Forse un giorno le cose cambieranno e si potrà fare un agionamento sario, ma fino ad allora non è un nostro problema, e, a ben vedere, non è nemmeno un vero problema. È un po’ come quando il tuo fidanzato/a arriva sempre in ritardo: puoi scegliere se fargli una scenata ogni volta e andare in overdose di Maalox o trovare qualcosa da fare mentre lo/a aspetti. Io scelgo la via che mi fa risparmiare sulla farmacia, perché combattere contro i mulini a vento è certamente una nobile attività, ma diciamo che la lascio a chi ha un contratto a tempo indeterminato.
Che poi, diciamocelo, c’è cliente e Cliente. E il Cliente che comprende la differenza tra una strategia e un buongiornissimo arriva sempre (per lui c’è anche Brand in frac), e tu non puoi certo usare il tempo che dedicheresti a lui per evangelizzare il popolo del kafffeeee!
saggezza. però i Like piacciono e gratificano.. e 2 campagne con prodotti suoi simili? cosi il cliente vede la differenza . vince chi vende di più
Può essere un’idea! Grazie per lo spunto!