Quando si parla di lavoro e dignità, la pietra dello scandalo… No, non c’è più una pietra dello scandalo. Ormai ogni giorno il mercato del lavoro offre scandali e pop corn, fino a quando non saremo così anestetizzati che non ci faremo più caso. L’altro giorno, in un gruppo di colleghi, hanno messo un annuncio. In pratica si richiedeva di aprirsi la partita IVA, partecipare a una riunione di redazione quattro volte a settimana alle ore 7 del mattino e scrivere 4 pezzi al giorno per 8 euro lordi a pezzo. Il che, per carità, può anche andare, se sei una commessa in maternità e vuoi arrotondare, solo che devi scroccare la partita IVA a qualcuno. Insomma, noi ci siamo fatti quattro risate e chiusa là (io per curiosità ho anche chiesto se i pezzi sarebbero stati firmati: ovviamente no), ma non dubito che, al di fuori del gruppo, qualcuno lo abbiano trovato.
Quindi, in previsione della festa del lavoro di domani, volevo un attimo mettere i puntini sulle “i”, per definire un paio di cose che secondo me non dovrebbero MAI essere accettate, nemmeno se sei disoccupata e con 4 figli. Piuttosto vai a fare la donna delle pulizie: a quel punto la famiglia che ti assume ha una copywriter bravissima che non sa pulire i pavimenti molto bene: 8 euro l’ora sono un prezzo onesto.
Lo so, è un brutto periodo, c’è la crisi e bisogna adattarsi. Ed è anche vero che il mondo del lavoro pullula di neolaureati con esperienza assente che si stupiscono di non ricevere 1.500 euro al primo impiego, ma l’assicella del tollerabile si sta abbassando decisamente troppo, ed è meglio quindi chiarire i limiti dell’accettabile senza scivolare nell’ambito della “schiavitù legalizzata”.
Accettabile
- Il lavoro andrebbe pagato e non con un’elemosina. Si suppone che il tuo operato dia un contributo all’azienda, e che il costo di un dipendente si trasformi quindi in un guadagno per l’azienda, quando lavora bene. Se però ti sei appena laureato e non hai mai lavorato, chi ti seleziona non può sapere se puoi fornire un apporto costruttivo all’azienda o se, viceversa, sarai una zavorra che rallenterà il lavoro altrui. Per questo, all’inizio della tua carriera, puoi tranquillamente accettare uno stage con un rimborso spese, ma che non duri più di tre mesi, dopo i quali l’azienda ha (o dovrebbe avere) tutti gli elementi per capire che lavoratore sei. Inoltre questo stage deve metterti nella posizione di imparare qualcosa (possibilmente dai migliori), e mai, mai, mai dovrai sostituire un lavoratore specializzato, altrimenti il guadagno è solo di chi grazie allo stage ottiene manodopera a prezzo irrisorio
- Fare fotocopie/portare caffè durante lo stage. Credimi sulla parola: imparare a usare una fotocopiatrice nella vita serve, e capita che anche qualche dirigente, se va al bar, porti il caffè ai dipendenti. Il problema sorge quando queste sono quasi le tue uniche attività. Personalmente ho un po’ rimpianto che il mio capo allo stage fosse così illuminato da darmi compiti esecutivi di un certo spessore (dopo avermi dato istruzioni precise, sia chiaro), perché ad oggi so fotocopiare solo in A4
- Il contratto di apprendistato: un buon compromesso per entrare nel mondo del lavoro. Forse non potrai farci affidamento per mantenerti e creare una famiglia, ma è a tutt’oggi la forma di assunzione più diffusa. Come dire: o così o vai a infoltire la schiera di disoccupati là fuori. Se ci sono i margini, prova a patteggiare sui permessi e trova qualcosa per arrotondare. Mi dicono che se ti svegli alle sette, fai una riunione e scrivi 4 articoli prima di andare in ufficio ti becchi circa 130 euro a settimana non è male per arrotondare (se sai scrivere un articolo in 10 minuti)
Borderline
- Lavorare gratis. Questo andrebbe direttamente sotto l’elenco delle cose inaccettabili, ma esistono rare eccezioni (che vanno comunque rapportate al tuo interesse a lavorare nell’ambito specifico). Se sei ancora all’università e il lavoro non costituisce un impegno gravoso, puoi dedicare quelle due o tre ore a settimana all’attività, sempre che sia in linea con le tue ambizioni di vita. È tollerabile lavorare gratis anche se hai la possibilità di lavorare a fianco di persone che nel tuo campo rappresentano un’eccellenza. Con queste persone, però, deve esserci un continuo confronto formativo, altrimenti non ha senso: se vai a pulire i pavimenti da Google è tuo diritto avere lo stipendio regolarmente corrisposto a chi lava i pavimenti
- Altro fattore di grande importanza è il tempo: lavorare gratis deve essere un’esperienza circoscritta, non certo l’abitudine. Un altro discorso meritano quelle iniziative come festival musicali e culturali dove giovani non pagati si occupano di fornire accoglienza e informazioni. Se volete fare volontariato non è meglio aiutare persone bisognose, piuttosto che contribuire al guadagno di gente che non vuole condividere con voi nemmeno una cifra simbolica? Qui si tratta di scelte, ma vorrei sapere cosa ci guadagna chi fa il volontario ai festival (a meno che non si tratti di entrare gratuitamente a incontri a pagamento: solo in quel caso, secondo me, può lontanamente avere senso)
Intollerabile
- Pagare per lavorare. Dovrebbe essere molto semplice: se do un apporto qualsiasi a qualsiasi persona/organizzazione/multinazionale (ad esclusione della beneficienza, ma quello non è un lavoro), in nessun caso devo rimetterci soldi. E non stiamo parlando dei soldi del pranzo (fino a prova contraria, se lavoriamo o guardiamo House of cards allo sfinimento, mangeremo in entrambi i casi), ma di quelli che alcuni datori di lavoro ti costringono a sborsare per fare ciò che devi (per esempio i grafici costretti a comprare la licenza per Photoshop). Di fronte a soprusi del genere, qualsiasi ragionamento sulla crisi e sulla tanto decantata resilienza è quantomeno fuori luogo.
Avrai notato che nella lista dell’intollerabile ho inserito un solo punto. Sicuramente, nel mondo del lavoro, ci sono molte altre cose intollerabili. Ma siccome vedo che esistono persone che pagano per lavorare (anche solo andando in un posto con la loro macchina), mi preme proprio partire dalle basi, perché è evidente che non sono chiare nemmeno quelle.
Per cui domani, invece che inveire su Facebook contro la festa del lavoro del primo maggio, prova un attimo a pensare alle battaglie che sono state combattute per quella dignità che, con la scusa della crisi, in troppi stanno calpestando. Perché così non solo non andremo da nessuna parte, ma torneremo anche indietro verso anni ben più bui di questi. E no, non vale dare la colpa alla politica e alle tasse: nessuno ci rispetterà, se non ci faremo rispettare noi per primi.
Chiudiamo con una frase di Amélie Nothomb: “Vivere vuol dire rifiutare. Chi accetta ogni cosa non è più vivo dell’orifizio di un lavandino“.
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