Il mondo delle collaborazioni con le aziende è una giungla. Le volte che mi è stato richiesto di selezionare un influencer per un progetto mi sono trovata di fronte a una pletora di condizioni che andavano da “mandami il prodotto e pubblico 3/4 foto su Instagram” a “io per meno di 1000 euro nemmeno tiro fuori la macchina fotografica”. E no, non c’era un dislivello vertiginoso tra influencer 1 e 2, né per seguito né per qualità fotografica. L’impressione che ho avuto è che, come in altri ambiti lavorativi, ci sia una diffusa tendenza a sottovalutarsi e sopravvalutarsi, a seconda dei casi.

Collaborazioni con le aziende: qualche punto fermo

Per questo motivo, vorrei provare a tracciare quelli che per me sono limiti invalicabili nelle collaborazioni con le aziende, indipendentemente dal fatto che la proposta parta dall’influencer o dall’azienda.

  1. Non mostrare un prodotto in cambio di… nulla
    Sembra ovvio, no? Eppure certe aziende sono abilissime a mascherare il nulla. Se per esempio ti dicono: “Ti diamo una foto da postare e se fai un tot di vendite ti mandiamo il prodotto”, ti stanno offrendo il nulla. Per prima cosa, spesso non definiscono nemmeno quanto è questo fantomatico “tot”. Secondo, i dati di vendita li controllano loro. È un attimo falsificare i risultati per non mandarti il prodotto e farti pure credere credere di essere un incapace. Terzo, il tuo compito non è vendere.
  2. Non accettare un pagamento in cambio di una recensione positiva
    Ci sono collaborazioni con le aziende davvero poco limpide: alcuni brand fanno la furbata (credono loro) di offrirti soldi in cambio di recensioni positive. Non accettare MAI. I veri influencer recensiscono con sincerità, perché se non lo facessero rischierebbero di perdere il loro seguito, cioè tutto ciò per cui hanno lavorato. Se un’azienda non vuole fregare i consumatori e crede nel suo prodotto, rischia volentieri una singola recensione negativa a fronte di altre positive. Inoltre, gli influencer parlano tra di loro, e sanno benissimo quali sono le aziende che comprano recensioni positive, quindi non solo l’azienda perde credibilità, ma la perdi anche tu. Ricordati che la gente non perde occasione per sparlare, specie quando c’è competizione in ballo.

    collaborazioni con le aziende

  3. Non promuovere prodotti non coerenti con il tuo piano editoriale e i tuoi ideali
    L’esempio che faccio sempre è di un’influencer che conosco che ha pubblicizzato un prodotto per gatti pur non avendo un gatto e avendo anche ripetuto più volte di non sopportare i felini. Ora, se sei una stella per i tuoi seguaci, per una cosa del genere forse non ti giochi la credibilità, ma sei davvero pronto ad accettare il rischio? Io te lo sconsiglio (e poi, con calma, facciamo un discorso a parte su come NON scegliere l’influencer ideale per un progetto, perché qui è stata soprattutto l’azienda a perdere punti).
  4. Non accettare collaborazioni gratuite se hai delle spese di gestione
    Per esempio, se hai un sito con dominio proprio (e quindi paghi annualmente le spese per mantenerlo), la foto su Instagram in cambio merce va benissimo, il post sul blog no. Questo non vuol dire che non devi mai scrivere recensioni, ma decidi tu cosa recensire. Al limite, se trovi che il prodotto che ti hanno mandato superi le aspettative puoi anche decantarne le lodi in un post, ma questo benefit non deve in alcun modo rientrare nell’accordo con l’azienda. Questo discorso si estende anche agli account Instagram: se più del 50% delle foto che carichi sono scattate da un fotografo professionista che tu paghi, non dovresti accettare collaborazioni gratuite nemmeno su questo social, e nemmeno per gli orologi da 200 euro. Idem se ti sei seriamente formato in campo fotografico, ma lì devi essere abile a capire il tuo livello: io ho speso 600 euro in corsi di fotografia, ma mi rendo conto che le mie foto non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle di un professionista.
  1. Non accettare collaborazioni in cambio di codici sconto
    A meno che non parliamo davvero di grosse cifre e di oggetti che realmente ti servono (esempio: ti offrono una lavatrice col 60% di sconto quando la tua si rompe). Negli altri casi, questa non è una collaborazione, ma l’ennesimo escamotage per pescare clienti e generare vendite (probabilmente, al netto dello sconto, il prodotto ha un costo di produzione molto inferiore al prezzo che ti fanno).
  2. Non accettare collaborazioni non retribuite per prodotti insulsi o inutili
    So che è difficile da credere, ma là fuori ci sono influencer che accettano collaborazioni per prodotti a cui non sono interessati (“tanto poi li regalo”). Ora, questo discorso è comprensibile se parliamo di un orologio da 200 euro, che effettivamente può essere un bel regalo, ma vale davvero la pena prendersi la briga di schierare un arsenale fotografico per uno shampoo per capelli biondi del valore di 5 euro mentre tu sei mora? Anche perché qui torniamo al discorso credibilità: se l’azienda offre collaborazioni a caso e non ha targettizzato le sue collaborazioni sulla base del colore dei capelli, l’azienda non ci fa una bella figura, ma tu puoi giocarti la credibilità.

L’influencer non deve vendere

Per finire con le collaborazioni con le aziende, vorrei chiarire un punto a cui io tengo molto e che secondo me ogni influencer o aspirante tale dovrebbe tenere presente: l’influencer non è un venditore. Il suo compito non è prettamente vendere, anche se ci si auspica che il risultato del suo lavoro sia questo. Ogni attività pubblicitaria cela in sé il rischio flop, per esempio quando il prodotto è una ciofeca. Nessun giornale dirà all’azienda: “Mettendo un annuncio sulle nostre pagine venderai 20 frigoriferi”, perché sa che non può prometterlo, quindi perché dovresti garantirlo tu?

Ci sono mille variabili nel processo di vendita, e la pubblicità è solo una di queste. L’azienda può scegliere se collaborare o meno con te (perché magari anche se il tuo profilo è interessante fugge a gambe levate quando chiedi 500 euro per un post su Instagram), ma non può pretendere da te un dato volume di vendita. Può aspettarselo in seguito a un’analisi più o meno dettagliata di numeri e pubblico, può non chiaamarti più se non vende quanto sperava, ma da qui a richiederti di vendere nella pratica ce ne corre. La figura dell’influencer è assimilabile più a quella di un pubblicitario che a quella di un venditore.

Ti sono state utili queste dritte sulle collaborazioni con le aziende? Se sì, fammelo sapere nei commenti o su Instagram, e se ti va iscriviti alle newsletter che ti avviseranno quando pubblicherò un nuovo post!