Quello del blocco su Facebook è un problema che può capitare a tutti. Ma davvero a tutti tutti! Siccome ho visto che il genere piace, proseguo la rubrica degli aneddoti didascalici: qui l’insegnamento che ne dovresti trarre è che se vuoi fare delle sponsorizzazioni su Facebook e Instagram ti conviene aprirti un account scollegato sul Business Manager, perché come ho già spiegato nel Freebie sulla sponsorizzazione (che puoi scaricare iscrivendoti alla newsletter Parole Caramellate), se ti bloccano l’account personale su Facebook non puoi nemmeno fare pubblicità.
Ma ora rompiamo gli indugi e addentriamoci nel mondo in cui il blocco su Facebook arriva perché parli di ortaggi!
Blocco su Fcebook, le motivazioni che degenerano
C’era una volta la libertà di espressione. Un nobile principio che sanciva che quando una persona voleva esprimere la sua opinione, con tutta la calma e la continenza del caso, poteva farlo, magari senza essere ghigliottinata come succedeva negli anni bui.
Successivamente, però, specie con l’avvento dei social network, di questo concetto si è fin troppo abusato, visto che “libera espressione” è diventato “insulto libero a chi non la pensa come te, specie se appartiene a una minoranza”. Ed ecco che quando clicchi “login” puoi trovarti di fronte a un bullismo in piena regola, che dà origine talvolta a tragici fatti di cronaca (vedi Tiziana Cantone).
Nell’articolo sulla diffamazione sui social ho già ricordato che “libertà di espressione” non significa dire quello che ti pare senza conseguenze, ma ultimamente Facebook si è schierato al fianco della giustizia ordinaria decidendo di sanzionare tutti quei comportamenti che possono configurarsi come violenza verbale o, peggio ancora, discriminazione. Tuttavia ritengo che gli amici di Menlo Park si siano fatti prendere un po’ la mano, trasformando la protezione dell’utente in una vera e propria censura.
Ed ecco che “Qualcuno spari a Trump” ti porta a un blando avvertimento (ehi, è il Presidente degli Stati Uniti, un bersaglio sensibile! Stai attento a quello che dici o ti sospendiamo l’account!), che viene cancellato un video che spiega come utilizzare il condom femminile e che gli account vengono sospesi per aver pubblicato una foto di Helmut Newton perché contenente nudo. Per poi arrivare ai casi più eclatanti, come l’eliminazione della foto simbolo della guerra in Vietnam (anche quella conteneva scene di nudo), o la censura del Bacio di Rodin perché “mostra eccessivamente il corpo o presenta contenuti allusivi” (l’opera per fortuna è stata riabilitata dopo alcune ore, probabilmente per le proteste).
La mia esperienza
Quando scopri questi episodi, ti indigni, e magari scrivi un post di protesta (su Facebook, of course). Ma quando la vittima del blocco su Facebook sei tu, fidati che è peggio. Se mi conosci da un po’, sai che sono una persona prolissa ma pacata, specie sui social. Facebook e Instagram fanno parte del mio lavoro, e quindi cerco di rispettare tutte le regole, anche le più assurde. Sapendo che Facebook è severo in fatto di nudo, sono arrivata a photoshoppare un’ombra in zona decolté, perché non volevo trovarmi a dover tenere ai censori una lezione di anatomia e spiegare che veramente il capezzolo sarebbe un po’ più in là. Non parliamo degli artifici retorici per rispondere ai commenti offensivi senza risultare offensiva a mia volta, che poi magari vengo bannata io e non loro e il Maalox diventa l’unica valida alternativa al volo diretto in California per dirgliene quattro. Del resto, la pratica fa la perfezione, quindi immaginatevi la mia sorpresa quando Facebook mi comunica di aver cancellato non uno, ma ben due post che avevo pubblicato vari anni fa.
Cosa mi ero permessa di scrivere per ottenere il blocco su Facebook??
Come sono arrivata al blocco su Facebook? Con questi due post
Finocchio all’epoca era un giocatore del Padova che aveva segnato contro il Mantova, ma, anche se i censori non l’avessero saputo, “indigesto” rimandava comunque all’ambito culinario. Era quasi lo stesso finocchio che stava lanciando segnali inquietanti dalla spazzatura, visto che il collegamento con Povia era solo nella testa dell’interlocutore. Prima che fosse troppo tardi, ho nominato editor e advertiser delle pagine che gestivo per lavoro un mio profilo fake, perché non avevo ancora il business manager e pensavo che ciò che mi era successo fosse solo l’inizio. E per fortuna che ci ho pensato, visto che, dopo pochi giorni, vengo sospesa veramente, per un altro presunto post omofobo che risaliva addirittura al 2012, quando Cassano aveva commentato, suscitando le ire del web: “Froci in squadra? Problemi loro”.
Il caso Cassano che ha determinato il blocco su Facebook
Come si nota dalla schermata, io mi limitavo a rilevare come per lui la distinzione “frocio”/”gay”/”omosessuale” non era prevista, in quanto li aveva sempre chiamati così senza necessariamente volerli offendere: se vogliamo stigmatizzare la mancanza di cultura propongo di non partire dai calciatori.
Ma Facebook qui fa la parte del bambino di tre anni: “Maestra, ha detto frocio, dagli la nota!”. Ed ecco che è scattato il blocco dell’account Facebook per 24 ore. A quel punto schiero un arsenale di account fake per poter continuare a lavorare, perché un collega scafato mi ha avvisato del fatto che probabilmente l’algoritmo sarebbe andato indietro a cercare post compromettenti fino a quando mi sono iscritta. Certo, poi qualcuno controlla, ma non è detto che abbia più acume dei controllori precedenti. Nel frattempo mando anche due righe a Facebook con le schermate incriminate, giurandogli che non sono omofoba e sono piena di amici gay che testimonieranno a mio favore di fronte alla giustizia.
La storia di Giacosa
Le due righe le ho mandate perché il giornalista Marco Giacosa, partendo dal blocco di una giornata è arrivato a stare senza Facebook per più di un mese. Tra l’altro, nel suo articolo, trovo parziale conferma alle parole del collega: se un tuo post viene segnalato, anche se quello specifico post non viola i famosi standard della comunità, viene estesa la ricerca di parole chiave “pericolose” a un numero variabile dei post che hai pubblicato. In un secondo tempo, una persona in carne e ossa viene chiamata a valutare se quei post violano realmente gli standard della comunità. Quella persona dovrebbe leggerli interamente, ma non sempre lo fa, e, soprattutto, non è detto che quella persona abbia i mezzi linguistici per comprendere il contesto. Nel mio caso, fortunatamente, questo mini calvario è finito in poco tempo, perché evidentemente, ortaggi a parte, sono irreprensibile e del resto il cibo non è mai stato un mio interesse caratterizzante. Ma, a differenza di Giacosa, non ho ricevuto alcun messaggio di scusa da Menlo Park.
In ultima analisi, sui social dobbiamo stare molto più attenti di quanto pensiamo, e non ci resta che sperare che un giorno “pasta al pomodoro” “Sgarbi” “Wanda Nara” o “campo di carote” non diventino un’offesa di genere.
E a te è mai capitata la segnalazione ingiusta? Raccontami tutto! Se questi argomenti ti interessano, ti consiglio di iscriverti a Parole Caramellate, la mia newsletter dove parlo di argomenti di questo tipo, soprattutto su Instagram (il mio profilo, lo trovi qui!).
ma non ci credo… comunque mi hai fatto fare due belle risate! :D :D :D sei spettacolare!
Grazie! E’ uno degli obiettivi che perseguo con la mia comunicazione :)
bello questo articolo…anche se con Facebook ormai non so se ridere o piangere … in questo caso tu mi hai fatto ridere :)
Io su Fb ci sto sempre meno… Non mi piace che un robot decida cosa posso postare!
Non ci credo 😂 bisogna stare davvero attenti ad ogni singola parola che si scrive su Facebook perché purtroppo a fare i primi controlli sono dei sistemi automatizzati che non possono capire il contesto 😡
Pare che però prima di bloccarti controlli un essere umano… Nel mio caso evidentemente incapace di cogliere citazioni!